compiti e non compiti


Chiariamo subito che l’espressione “non-compiti” è volutamente una provocazione
Nel linguaggio comune il termine “compiti” è ormai usato come sinonimo di compiti scolastici. Nel linguaggio della didattica in realtà non è così.

Per prima cosa conviene chiederci: “Cosa significa esattamente compito?”
Ci viene in aiuto il dizionario etimologico

Compito s.m. (sec. XIV)

Lavoro imposto; ufficio; esercitazione scolastica.
PRESTITO LATINO: dal lat. compūtus ‘calcolo, conto’, adattamento alternativo rispetto a còmputo (–> computare), col significato primitivo di ‘quantità di lavoro calcolata e assegnata’ e ‘lavoro imposto’

da L’ETIMOLOGICO – Vocabolario della lingua italiana –  Le Monnier

Due aspetti sono interessanti: il fatto che si tratta di un “lavoro imposto” e la specifica di esercitazione scolastica.

Se ripensiamo alla nostra esperienza scolastica, difficilmente qualcuno potrà dire di aver apprezzato da studente qualcosa che veniva imposto. L’imposizione, anzi, riusciva a far diventare poco piacevole anche una attività di per sé attraente. Alberto Manzi, in una intervista ci ricorda che nell’azione didattica “L’imposizione non crea un concetto”. Una delle sfide della scuola è quella di risvegliare il desiderio di imparare dei ragazzi. Desiderio che nel bambino piccolo sembra essere innato (pensate al bambino che, giocando, esplora il mondo).

L’altra sfida è quella di superare la divisione tra scuola e mondo reale. La scuola centrata sulle conoscenze e sulle abilità poteva non preoccuparsi del mondo reale fuori dalle sue mura. La scuola delle competenze non può ignorare il resto della vita del ragazzo.

Il compito tradizionale, che per comodità definiremo compito scolastico è spesso avulso dalla realtà o scimmiotta la realtà dimenticandosi di quello che realmente serve nel “mondo reale”
Ci aiuta l’esempio del compito di geometria di cui ci parlano don Milani e i suoi ragazzi della Scuola di Barbiana nel libro Lettera a una professoressa:

Il problema di geometria faceva pensare a una scultura della Biennale: «Un solido è formato da una semisfera sovrapposta a un cilindro la cui superficie è tre settimi di quella… ». 

Non esiste uno strumento che misuri le superfici. Dunque nella vita reale non può accadere mai di conoscere le superfici e non le dimensioni. Un problema così può nascere solo nella mente di un malato.

da Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina

A certi livelli è sicuramente utile esercitare la reversibilità come modo di ragionare e quindi sapere che se ho una formula che mi porta dalle dimensioni alla superficie posso “ribaltarla” per fare il percorso inverso. Ma si tratta di un caso particolare, inutilizzabile nella vita reale,  che funziona con studenti che hanno capito e apprezzano la scuola e  possono permettersi il “lusso” di ragionamenti sofisticati.

Quando parliamo di compito scolastico ricordiamoci che, nella maggior parte dei casi, si tratta di un compito che – come avviamo visto sopra – si deve fare perché si deve fare e che, se è percepito così, spesso fa scattare la voglia di cercare una scorciatoia. Vi ricordate quando alle medie il docente di inglese, ci dava come compito a casa da declinare il verbo essere. Il risultato era una serie di righe ben ordinate: I am here, you are here, he/she is here… Peccato che, per fare più in fretta, non si completava quasi mai il compito riga per riga ma a colone. Il risultato che poteva controllare il professore era lo stesso, il risultato per l’apprendimento era molto inferiore alle aspettative.

Una scuola che vuole dare spazio alle competenze deve però avere un ventaglio più ampio di possibilità. Non-compiti, dicevamo all’inizio, è una provocazione per tornare ad allargare l’orizzonte e ricordarci che esistono altre tipologie di compito, quelli che con una terminologia più tecnica, nella scuola di oggi si chiamano compito autentico e compito di realtà.