Iceberg o fungo?


Molti di voi si saranno trovati almeno una volta di fronte allo schema dell’iceberg delle competenze.

È circolato molto nelle scuole e capita, non di rado, visitando le aule professori, di trovarne traccia (magari appeso in bacheca).

L’ho ripreso in mano di recente leggendo il libro Rubriche valutative del professor Castoldi (i nuovi ritmi dettati dal distanziamento sociale ci hanno almeno dato un po’ di tempo in più per leggere) che lo usa per collegare prestazioni dei compiti significativi e competenze.

Leggendo, l’ho ricollegato alla provocazione di un insegnante che, qualche mese fa, durante un corso di formazione, si chiedeva (e mi chiedeva) se tutta questa enfasi sui prodotti (tipica dell’attivismo pedagogico e dei compiti significativi) non fosse deleteria perché toglie il gusto di fare le cose finalizzandole sempre a ottenere un risultato. Colgo nella provocazione la paura di una visione utilitaristica delle attività educative che costringe la scuola a “fare cose” per dimostrare che c’è e funziona e quindi il tema merita un approfondimento.

Vorrei provare allora a usare una immagine diversa dall’iceberg: pensate a un fungo. Probabilmente nella vostra testa si è formata una immagine simile a questa.

A parte gli addetti ai lavori (esperti di biologia, fisiologia vegetale e via di seguito), per noi comuni mortali “fungo” è sinonimo di quella parte (gambo e cappello) che spunta dal terreno. Ma quello è il “frutto” del fungo che per la sua gran parte è, in realtà, costituito dalle ife che si trovano sottoterra.

Ecco, seguendo questa seconda immagine, mi sembra più semplice, rispetto all’iceberg, cogliere lo stretto legame che c’è tra competenze e prodotti dei compiti significativi.

Come non vedo l’estensione delle ife del fungo quando passeggio per il bosco, così non vedo le competenze in giro per il mondo (come se fossero oggetti al pari di mele, pere, tavoli, sedie). Ma quando nel bosco vedo spuntare tra le foglie un bel porcino, posso dedurre che sotto ci sia un intrico di cellule fungine che hanno dato origine a questo corpo fruttifero per poter liberare le spore e diffondersi. Allo stesso modo, quando io vedo il prodotto realizzato da un alunno (o da un gruppo di alunni) posso desumere quali competenze sono state messe in atto per arrivare a quella realizzazione.

Restando nella metafora, si può valutare la qualità del fungo sia come oggetto in sé (è grande, è ben formato…) sia come segnale per capire la salute del bosco e della parte nascosta dell’organismo. Allo stesso modo io posso valutare sia il prodotto in quanto tale sia come indicatore delle competenze. Si tratta, a parità di prodotto, di due sguardi completamente diversi: uno centrato sul prodotto e uno sul processo (messo in atto per ottenere il prodotto). Sono leciti entrambi, l’importante è essere consapevoli di come e cosa si vuole osservare (e valutare).

Per rispondere alla questione dell’ enfasi sui prodotti dobbiamo riconoscere che il prodotto (da intendere in senso ampio non solo come oggetto fisico costruito) in fondo è il “catalizzatore” che stimola la voglia di lavorare e mettere in atto le competenze. In fondo nessun calciatore si allena solo per il gusto di allenarsi o nessun musicista si esercita allo strumento solo per il gusto di esercitarsi. Ci sarà sempre una performance che riesce a dare un senso a mesi o anni di esercizio costante. E questa “performance” (concerto o partita) è, con la nostra terminologia scolastica, un “prodotto” con cui mostrare le competenze (o meglio la capacità di agire in maniera competente) acquisite e il livello raggiunto.

Posso, allora, guardare il fungo e fermarmi lì oppure posso imparare a usare “il fungo che vedo” per andare oltre, verso una valutazione più profonda e significativa.


Immagine di copertina di stux da Pixabay