Per un curricolo resiliente


Gli eventi degli ultimi mesi (la pandemia legata al covid-19 e la conseguente sospensione dell’attività didattica in presenza) e le incertezze per il prossimo anno scolastico (dovute soprattutto al rischio di una possibile ripresa delle infezioni tra autunno e inverno) chiedono a tutti gli attori coinvolti un lavoro di ripensamento del curricolo di istituto per renderlo più resiliente.

Resilienza, in ambito psicologico, è la capacità non solo di resistere, ma di reagire in maniera positiva a traumi e difficoltà. Ed è proprio questa la caratteristica chiave che dobbiamo cercare rimodulando i percorsi didattici.

Quando si parla di curricolo di istituto spesso viene spontaneo pensare che sia una novità degli ultimi anni. In realtà non è così: già negli anni ’70 l’AIMC (Associazione Italiana Maestri Cattolici) aveva promosso una ricerca sul rinnovamento scolastico, formalizzata nel volume Un nuovo curricolo nella scuola elementare, pubblicato dall’Editrice La Scuola a cura di Cesare Scurati.
Fin dalle prime pagine il volume, seppur datato, coglie la grande differenza che comporta passare dal ragionare per programmi al ragionare per curricoli scolastici.

Sgombriamo del pari il campo da qualsiasi possibile sospetto di puro terminismo e nominalismo verbale. Parlare di « programma » e di « curricolo » non è per niente la stessa cosa […]
Per lo meno nella tradizione amministrativa e pedagogica italiana, parlare di « programma » significa intendere un documento ufficiale contenente indicazioni e prescrizioni assunte come obbliganti ed obbligatorie per tutti i destinatari delle stesse. Il « programma » definisce, quindi, con il rafforzamento derivante dall’essere legge in senso formale dello Stato, la « legalità » (prevalentemente contenutistica) dell’apparato scolastico in quanto sistema d’insegnamento.
È anche vero, però, che nessun programma ha mai realmente governato l’effettivo costituirsi della situazione didattica […] Rimane comunque il fatto che alcuni momenti della vita scolastica — quali gli esami, i controlli direttivi ed ispettivi, i passaggi da un grado all’altro — tendono ad essere continuamente insidiati dal ricomparire della preoccupazione dei programmi e che la mediazione fra l’interpretazione ossequiente e quella flessibile rappresenta un problema di tutt’altro che semplice soluzione. […]
Orbene, passare da una logica di tipo programmatico ad una di tipo curricolare vuol dire precisamente conferire legalità alla realtà, cioè elevare al rango di piena cittadinanza entro il sistema scolastico le scelte, gli orientamenti e le concrete attività che gli educatori ritengono opportuno intraprendere in base al loro giudizio professionale.

C. Scurati (a cura di), Un nuovo curricolo nella scuola elementare. Editrice La scuola, 1977, p. 15

Erano gli anni ’70. E dall’entrata in vigore dell’autonomia scolastica (settembre 2000 con l’entrata in vigore del DPR 8 marzo 1999, n. 275) è scomparso il famigerato “programma ministeriale”. Almeno nella teoria, perché, purtroppo, nelle nostre scuole molto spesso la logica di tipo programmatico sopravvive. Non è raro che, dialogando con insegnanti (di diversi ordini e gradi) ritorni spesso la parola “programma” (inteso come qualcosa che obbliga a fare un certo argomento). Così come la scansione degli argomenti nel libro di testo adottato che spesso diventa di fatto un programma camuffato e carica sul docente la stessa pressione a “finire tutto” (quasi che si passasse per pigri a non finire il libro).

Ecco quindi che la riflessione sul curricolo di istituto deve essere un elemento costante per il team docente.

Ma cosa dobbiamo intendere esattamente per curricolo? Uno spunto ce lo offre ancora Scurati

P. W. Musgrave colloca nel curricolo « quelle esperienze di apprendimento o la successione di esperienze organizzate intenzionalmente da agenti educativi formali scolastici »; G. N. Mackenzie vi fa rientrare « il complesso di impegni dello studente nei vari aspetti dell’ambiente che sono programmati sotto la direzione della scuola »; Nisbet ed Entwistle sostengono che il curricolo indica « tutti indistintamente gli elementi o aspetti dell’ambiente scolastico che possono influire sulla validità dell’apprendimento degli alunni » o, in senso più vasto ancora, « ogni elemento dell’ambiente scolastico che possa influire sull’istruzione ».
Sulla scorta di quest’ultima definizione, allora, ci pare senz’altro possibile affermare che si intende per curricolo il complesso integrato dall’esperienza scolastica compiuta dallo studente in quanto intenzionalmente rivolta a conseguire il fine della sua formazione. Oppure, che il curricolo è costituito dall’organizzazione delle possibilità offerte dalla situazione scolastica in quanto ordinata allo sviluppo evolutivo dell’alunno.

C. Scurati (a cura di), Un nuovo curricolo nella scuola elementare. Editrice La scuola, 1977, pp. 20-21

Ecco che compaiono alcune parole chiave: esperienza scolastica, intenzionalità, possibilità offerte dalla situazione scolastica.

Possiamo allora intendere il curricolo come il percorso che la scuola propone ai ragazzi per arrivare a un obiettivo che oggi, vista la normativa nazionale e internazionale, definiremmo in base alle competenze. Date le competenze in uscita fissate dal Ministero, che percorso proponiamo come scuola ai ragazzi perché possano dimostrarsi competenti?

L’altra domanda che è utile farsi riguarda gli elementi base con cui scegliamo di scandire il percorso.
L’esperienza nella scuola insegna che, per praticità, spesso si inizia a costruire il curricolo di istituto partendo da quello che c’è (le materie e gli argomenti). Il rischio è quello di rimanere ingabbiati nelle materie (ognuna con il suo bel programma fantasma) e nella prevalenza delle conoscenze. Forse dobbiamo accettare la sfida che ci ha posto e ci pone il covid-19 e provare a ristrutturare, una volta per tutte, i curricoli scolastici organizzandoli per esperienze significative. In questo modo avremo percorsi resilienti, che possono essere portati avanti a prescindere dal contesto e dal setting scolastico, perché potremo – abbastanza agilmente – riconfigurare l’esperienza in base alla situazione.

Quali vantaggi può portare la scelta di usare come elemento base del curricolo le esperienze significative?

  • Si avvicina la scuola al mondo dei ragazzi. Se parliamo di esperienze significative dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che devono essere significative per i ragazzi. Non basta che, secondo la nostra esperienza, siano importanti per la loro crescita. Devono anche dire qualcosa ai ragazzi perché siamo stimolati a impegnarsi. Sono le basi della pedagogia attiva.
  • Facilita il lavoro interdisciplinare. Le esperienze significative raramente si concludono nell’ambito ristretto di una disciplina. E quindi il modulo base con cui strutturo il percorso scolastico spinge inevitabilmente a contrarsi su attività che, sia per essere svolte, sia per il ragionamento che ne consegue (altrimenti non sarebbero esperienze nel senso che dava al termine Dewey) chiedono il contributo e la collaborazione di più aree disciplinari (e dei relativi docenti).
  • Rende più facile la gestione modulare del percorso e la sua ristrutturazione. Se l’insegnante coglie un particolare interesse nella classe, avendo una gestione modulare può decidere di anticipare una delle esperienze significative – programmata per un diverso momento – se meglio si lega a questo interesse. Anche il timore di “perdere tempo” per inseguire gli interessi dei ragazzi si placa, perché quella che prima era percepita come una “deviazione” dal percorso si riconfigura come uno scambio di posto tra due attività che erano comunque previste.
  • Permette di integrare pienamente nel percorso attività che spesso erano inserite come corpi estranei. Attività magari dettate dalla tradizione, fatte più per senso del dovere che per convinzione e percepite come “ingombri” che tolgono tempo alla didattica. Penso per esempio ai lavoretti per la festa della mamma/del papà che da attività da fare per soddisfare i genitori possono, se opportunamente progettate, diventare un elemento significativo del percorso.
  • Permette di variare il ritmo della vita scolastica alternando esperienze brevi (ad esempio realizzare un prodotto artistico/letterario/multimediale per partecipare a un concorso) ed esperienze più lunghe (tipo la gestione di un giornalino scolastico). Si inserisce un elemento di gradualità nella richiesta e si educa a mantenere un impegno con proposte che sono commisurate alle capacità dei ragazzi.
  • Aiuta quando si deve variare il setting e gestire le emergenze. In una situazione di lockdown (come quella dei mesi scorsi) è meno complicato garantire la continuità didattica se ho progettato in termini di esperienze, perché a partire dalle stesse esperienze presenti nel curricolo si cerca il modo più semplice per garantire ai ragazzi di vivere la stessa esperienza in un contesto didattico diverso. Se l’esperienza è quella di fare il burro (per poi lavorare sui concetti di coagulazione o riflettere su come in aree geografiche diverse si usino per cucinare prodotti diversi) posso facilmente dare indicazioni per fare la parte pratica di esperienza a casa e poi ragionare coi ragazzi nel momento di didattica sincrona on line.
  • Migliora l’aderenza delle attività scolastiche alle indicazioni nazionali. Anche per le competenze disciplinari, avere come elemento di base del curricolo delle esperienze significative rende più facile tener conto dei traguardi e degli obiettivi presenti nelle indicazioni nazionali e poter verificare di non lasciare indietro dei pezzi (perché non c’erano nei vecchi programmi a cui ancora ci affidiamo)

Molte di queste cose non sono una novità. La vera sfida è centrare il curricolo non sugli argomenti ma su esperienze che permettono di allenare le competenze (che si portano sempre dietro abilità e conoscenze) e dare organicità al percorso.


immagine di copertina di Andrzej Rembowski da Pixabay