Didattica diffusa


I ragionamenti sul prossimo anno scolastico (2020-21) e sulla probabile necessità di diminuire l’ampiezza dei gruppi classe (per applicare un minimo di distanziamento sociale a raggruppamenti di bambini che spesso vengono definiti “classi pollaio”) portano – dividendo la classe in due sottogruppi – inevitabilmente a un numero limitato di esiti possibili:

  • un gruppo segue le lezioni in presenza e uno a casa via web. Molto difficile – per non dire impossibile – da un punto di vista didattico. Si può fare una buona didattica on line ma richiede tempi, modi e attività completamente diversi dalla didattica in presenza. Fare le due cose insieme porta a fare male entrambe. Non a caso sembra che sia una opzione non considerata per la scuola del primo ciclo;
  • un gruppo frequenta al mattino e uno al pomeriggio. Oltre a dimezzare i tempi dedicati alle attività didattiche, comporta un grosso problema per i genitori che devono gestirsi questa frequenza “a scacchiera” con il lavoro. Inoltre aumenta i flussi di gente che va e viene dalla scuola (altra questione delicata in tempi di pandemia);
  • due gruppi che lavorano in contemporanea in spazi diversi.

Valutando l’ultima possibilità – stante l’insostenibilità economica di raddoppiare di punto in bianco il personale scolastico – si comincia a ragionare sui temi dell’educazione diffusa (ricordiamo, a titolo di esempio, il momento di riflessione che si è svolto domenica 10 maggio La scuola sconfinata. Oltre l’emergenza, proposte per la città di Milano.)

Come tutto, anche l’approccio della didattica diffusa, può essere semplicemente una pezza messa in qualche modo per risolvere – o far finta di risolvere – un problema, o diventare una occasione per ripensare e riprogettare il tempo scuola e l’idea che abbiamo della formazione di base di bambini e ragazzi.

In questa seconda logica, permetterebbe di lavorare di più (con l’aiuto di educatori e enti non-profit) sui temi più ampi legati al vivere civile (che li si chiami cittadinanza e costituzione o educazione civica poco importa) e alle competenze chiave.

Provo allora a raccogliere alcuni spunti per chi vuole approfondire questo tema.Innanzitutto il testo che resta basilare per comprendere questi temi è Descolarizzare la società di Ivan Illich che, con la sua vena provocatoria, prova a mettere in crisi l’istituzione scuola – non tanto le persone che vi operano – intesa come strumento passivizzante di “addestramento” della società. È un testo degli anni settanta ma – come molte delle opere di Illich – ci può aiutare a leggere anche la società odierna

Ho esaminato in un saggio precedente un’accusa che viene rivolta sempre più spesso contro le scuole e che si rispecchia, per esempio, nel recente rapporto della Commissione Carnegie: a scuola gli studenti iscritti si sottomettono a insegnanti diplomati per ottenere a loro volta dei diplomi; gli uni e gli altri si sentono frustrati e incolpano della loro reciproca frustrazione l’insufficienza di mezzi quali il denaro, il tempo o le sedi.

Questa critica induce molte persone a chiedersi se sia concepibile una maniera diversa di apprendere. Le stesse persone, paradossalmente, se sollecitate a precisare come hanno acquisito ciò che sanno e apprezzano, sono pronte ad ammettere di averlo imparato più fuori che dentro la scuola. La loro conoscenza dei fatti, la loro idea della vita o del lavoro derivano da un’amicizia o da un amore, da ciò che hanno visto alla televisione o hanno letto, dagli esempi dei loro coetanei o dallo stimolo di un incontro casuale. Oppure possono aver imparato ciò che sanno dal tirocinio rituale necessario per essere ammessi in una banda di strada o dal periodo di iniziazione trascorso in un ospedale, nella cronaca di un quotidiano, nella bottega di un idraulico o in un ufficio di assicurazioni. L’alternativa alla dipendenza dalle scuole non è dunque lo stanziamento di fondi pubblici per qualche nuovo congegno che «faccia» imparare, ma la creazione di un nuovo tipo di rapporto educativo tra l’uomo e il suo ambiente. A questo scopo dovranno però mutare contemporaneamente gli atteggiamenti verso la crescita, gli strumenti disponibili per l’apprendimento e la qualità e la struttura della vita quotidiana.

Ivan Illic, Descolarizzare la società. Per una alternativa all’istituzione scolastica, Mondadori 1973, pp. 110-111

Interessante poi, per proseguire il ragionamento, l’idea di territorio gentilmente formativo che il professor Tramma propone nel suo manuale Pedagogia Sociale riprendendo le idee proposte da Malcom S. Knowles (il padre della formazione degli adulti) alla fine degli anni ‘80:

L’educazione non dovrebbe avvenire a scuola o nei college come nei secoli del consolidamento e dello sviluppo delle società industriali, ma attraverso la predisposizione e l’attivazione di un «consorzio» di tutte le risorse di apprendimento presenti nella comunità, rivolto a tutte le età della vita.

Sergio Tramma, Pedagogia sociale, Guerini scientifica 2014, p. 62

E quali sono queste risorse di apprendimento ce lo dice bene lo stesso Knowles in La formazione degli adulti come autobiografia:

– istituzioni: istituzioni educative specializzate, sistemi di servizi sanitari e sociali, agenzie statali, musei e biblioteche;
– organizzazioni private: sindacati, cooperative di consumatori e di produttori, società civiche, organizzazioni agricole, giovanili, politiche e società professionali;
– imprese economiche: società d’affari e industriali, aziende agricole, associazioni di mercato e commerciali;
– i media;
– eventi episodici: fiere, mostre, gite, rituali collettivi e celebrazioni di anniversari;
– risorse ambientali: parchi, riserve, zoo, foreste, deserti, laghi e corsi d’acqua;
– persone: gli anziani, gli specialisti, le famiglie, il vicinato.

Malcom S. Knowles, La formazione degli adulti come autobiografia. Il percorso di un educatore tra esperienza e idee, Raffaello Cortina 1996 p. 118

Cercando un testo più recente può essere utile guardare alla proposta di Paolo Mottana sul tema dell’educazione diffusa e in particolare al suo Manifesto dell’educazione diffusa:

L’educazione diffusa è un’alternativa radicale all’istituzione scolastica attuale. È tempo di rimettere bambini e bambine, ragazzi e ragazze in circolazione nella società che, a sua volta, deve assumere in maniera diffusa il suo ruolo educativo e formativo.

La scuola deve ridursi a una base, un portale ove organizzare attività che devono poi realizzarsi nei mondi aperti del reale, tramite un progressivo adeguamento reciproco delle esigenze delle attività pubbliche e private interessate, degli insegnanti e dei ragazzi e bambini stessi.

L’educazione diffusa pone al centro della vita educativa l’esperienza autentica, quella che mobilita tutti i sensi ma soprattutto la forza che li accende, la passione.

L’educazione diffusa ribalta l’idea che la mente possa imparare separatamente dal corpo, è attraverso il corpo, i suoi sensi, il suo impegno, che si verifica un vero apprendimento duraturo.

dal Manifesto dell’educazione diffusa

Tutto questo è compatibile con la scuola? Certo. Se la scuola lavora veramente per competenze (come è chiamata a fare dalla normativa vigente) non può non strutturare un curricolo per esperienze, intese – come suggeriva Dewey – come binomio inscindibile di fare e riflettere su quello che si è fatto.

A queste condizioni l’insegnante può finalmente smettere di essere un tuttologo chiamato a ripetere ai bambini un sacco di informazioni (come se fosse esperto di tutto) ma tornare ad essere – proprio perché professionista della didattica – un accompagnatore che progetta per i suoi alunni esperienze significative (sfruttando tutte le risorse di apprendimento che offre il territorio in cui opera) e una guida che li aiuta a trarre – ognuno per la sua situazione e possibilità – il meglio che possono da questa esperienza.

E allora forse ci avvicineremo a realizzare il sogno di Illich:

Man mano che i cittadini avranno nuove possibilità di scelta e nuove occasioni per imparare, dovrebbe aumentare il loro desiderio di cercarsi qualcuno che li guidi. C’è da ritenere che sentiranno sempre più profondamente sia la gioia della propria indipendenza sia la necessità di una guida. Liberati dalle altrui manipolazioni, dovrebbero imparare a trarre profitto dal sapere che gli altri hanno acquisito in tutta una vita. Un’istruzione descolarizzata dovrebbe non soffocare, ma intensificare la ricerca di uomini provvisti di sapienza pratica e disposti ad aiutare il novizio nella sua avventura educativa. Quando i docenti delle varie discipline non pretenderanno più di essere degli informatori o modelli di rango superiore, la loro pretesa di possedere una sapienza superiore comincerà ad apparire autentica. Aumentando la richiesta di maestri, dovrebbe aumentare anche l’offerta.

Ivan Illic, Descolarizzare la società. Per una alternativa all’istituzione scolastica, Mondadori 1973, p. 145

immagine di copertina di Free-Photos da Pixabay